25 aprile 2020: non ti chiedo di amarmi sempre così, ma ti chiedo di ricordare

By firenzecittaaperta 4 anni ago
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In piazza Poggi, il 25 aprile, per il pranzo dell’Anpi. Il sole, le bandiere e gli abbracci. Poi in Santo Spirito il pomeriggio con le bancarelle, i libri e la manifestazione. L’inizio della primavera.

Per tutte e tutti una festa vera. In un certo senso proprio di famiglia. Un po’ perché ci vai portando bambine e bambini, genitori e nonni. Un po’ perché ti senti davvero “con i tuoi cari”. Anche se sconosciuti. Con le persone con cui condividi pensieri e parole e sentimenti. Una specie di fratellanza. Sentire quasi fisicamente l’appartenenza a una comunità, l’avere uno sguardo condiviso sulla vita. Un senso comune.

Sui prati di Firenze, al De Martino di Sesto, a Fosdinovo, si sono sempre incontrate generazioni diverse, ed è anche questo un piccolo miracolo, non succede spesso negli ultimi anni: per i giovani la politica è un’altra cosa rispetto a chi ha vissuto la storia del Novecento. È coinvolgimento personale, immediato, esistenziale – volontariato più che militanza. E tuttavia quando venivano nelle scuole i vecchi partigiani a raccontare se stessi, avevano sempre un successo straordinario: perché parlavano della loro vita, delle sofferenze e delle speranze, degli amici perduti. E si commuovevano nel ricordare.

In uno splendido libro, “La resistenza taciuta”, si può leggere il ricordo di Teresa Cirio, giovane staffetta della resistenza piemontese.

“Una volta mentre facevo uno di questi viaggi, capita un bombardamento e un mitragliamento spaventoso. Mi butto giù dal treno, così come viene, e finisco in un prato. Mi buttavo sempre a terra col mio corpo sopra la valigia dal doppio fondo (…). Mi butto nel prato. Era primavera e nel prato c’erano delle viole, delle viole! E io, talmente mi piace la natura, mi faccio un bel mazzetto, durante tutto il bombardamento. E poi arrivo sul treno. Tutti mi hanno guardata così… Perché io me ne arrivavo lì, con le mie viole, tutta contenta. Si rischiava la morte, però talmente c’era la gioia di vivere! Delle volte io leggo che i compagni erano tetri. Non è vero. Eravamo sereni. Anzi eravamo proprio felici, perché sapevamo che facevamo una cosa molto importante”.

Per quei grandi vecchi la politica era quella cosa importante di Teresa. Una cosa che dà felicità. Allegria perfino nel naufragio. Credo che questo abbia senso anche per i giovani. Ancora.

Il 25 aprile ci si ritrova in una sorta di rito laico, collettivo. Una religione civile, di appartenenza culturale, etica, emotiva.

Quest’anno sarà più difficile essere vicini. Niente piazze, bandiere, veri abbracci. Niente pane da spezzare insieme, da compagni. E il ricordo di tante persone che se ne sono andate. I loro cari, figlie e figli, nipoti, li hanno visti uscire in ambulanza e poi più niente. Forse una telefonata o una email – l’equivalente del telegramma in tempo di guerra. Neppure una piccola cerimonia.

E dopo la prima ondata di solidarietà dai balconi o dai messaggi sui muri, che ha risposto intensamente alla chiusura di tutto, oggi la sensazione è che avanzi forte la stanchezza, il senso di solitudine, la depressione. Com’è peraltro naturale.

E tuttavia siamo a una svolta. Una crisi in fondo mette sempre davanti a scelte radicali.

Non è solo questione di quando potremo liberamente uscire di casa, se andremo al mare oppure no. Certo anche questo conta. Riprendere il ritmo della propria vita – anche se non sarà esattamente la stessa; le attività economiche, il lavoro, il reddito.

Ma uscire dalla crisi adesso significa scegliere chi vogliamo essere, come persone e come società.

Fare crescere la sfera pubblica, il mondo comune; prendersi cura delle povertà che fanno la fila al banco dei pegni, intervenire sulle disuguaglianze che rischiano di uccidere di virus, di fame, di solitudine; investire nel sistema sanitario, mettere al centro la riconversione ecologica, uscire dalla crisi del turismo con una città più a misura di donne e uomini, bambine e bambini. Oppure, come chiedono i neoliberisti e Confindustria, moltiplicare le privatizzazioni, garantire la ripartenza delle aziende e significativi margini di profitto, perché – dicono – solo quelli possono produrre investimenti, lavoro, ricchezza. E ridurre l’intervento dello stato e finanziare la ripresa con la riduzione delle tasse, la cessione dei beni comuni, invitando ognuno ad essere imprenditore di se stesso.

La mancanza e l’assenza fanno capire molte cose. Il dolore e l’amore pure.

La vicinanza affettiva che abbiamo vissuto in questi mesi non è perduta per sempre e non è sprecata, resta da qualche parte dentro di noi.

Leopardi ha raccontato splendidamente la gioia di vivere dei giovani, vivendola a modo suo intensamente, da escluso. E in “Tenera è la notte” di Francis Scott Fitzgerald una donna in una clinica psichiatrica dice, in un momento di equilibrio e di gioia, all’uomo che ama (sollevando il viso e mostrandolo come un libro aperto a una pagina): “Non ti chiedo di amarmi sempre così, ma ti chiedo di ricordare. Nascosta dentro di me ci sarà sempre la persona che sono stasera”.

In questo 25 aprile possiamo comunque sentirci vicini e vicine. Certe cose sono dentro di noi. Perché sentiamo le persone perdute. Quelle impoverite e disperate. Perché costruiamo reti e associazioni che le possono aiutare. Perché abbiamo capito bene che nessuno si salva da solo. La salute è qualità dell’ambiente, delle relazioni e della vita.

Allora possiamo tornare alla Costituzione e alla lotta partigiana, oltre che come guerra di resistenza contro nazismo e fascismo, come affermazione di un mondo di pace, relazioni rette da altro che dal denaro, dalla paura o dalla competizione. Relazioni comunitarie, solidali, capaci di riconoscimento reciproco, mutualismo, accettazione delle differenze nella costruzione di un mondo comune. Che non è la nostra Patria Nazionale. Un territorio di cui sentirsi esclusivi proprietari, in cui rinchiudersi chiudendo porte e finestre. Porti. È la nostra patria perché è il mondo intero. E nostre sorelle e fratelli sono tutti coloro che soffrono, sfruttati, perseguitati, in fuga dalla guerra o dalla fame, alla ricerca di una vita migliore in cui vedere riconosciuta la propria dignità.

Buon 25 aprile. Di liberazione umana.

Andrea Bagni

#CronacheDalFuturo

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