Al canto di “Bella ciao” una nuova Resistenza

By firenzecittaaperta 4 anni ago
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Il leitmotiv del 25 Aprile – “Bella ciao” è stato il canto leitmotiv del 25 aprile appena trascorso (nonostante l’isolamento a cui siamo stati costretti dal corona/virus).

Lo si è cantato dai balconi, lo si è trovato sui social in molte versioni, è rimbalzato da un sito internet all’altro.

Penso che ciò abbia una valenza positiva, perché si ricollega a valori resistenziali, ad impegni comuni di solidarietà sociale, ad un senso della collettività che emerge nei momenti di maggiore difficoltà.

Il vecchio partigiano fiorentino Marcello Citano – nome di battaglia “Sugo” -, scomparso da poco, non amava cantarla, questa canzone, perché sosteneva, ed aveva ragione, che non l’aveva mai sentita durante la Resistenza.

Si tratta infatti di un “prodotto” posteriore (frutto, a suo dire, di un “imborghesimento” successivo al periodo glorioso della lotta contro i nazi-fascisti, durante il quale, in montagna, i canti erano quelli di lotta, comunisti, socialisti, anarchici).

Non teneva però conto, Sugo, del cammino che “Bella ciao” aveva fatto, nel tempo, in Italia e nel mondo, divenendo un canto veramente partigiano, anche se postumo, che si può ascoltare nelle situazioni più varie, nei Social Forum, nelle manifestazioni per un altro mondo possibile, nelle iniziative contro i fascismi di ieri e di oggi. Fino ad avere versioni in lingue diverse (ed è emozionante sentirlo cantato in curdo nel Rojava, una zona di “resistenti” degli anni 2000).

La nuova Resistenza – Per questi motivi dovremmo assumerlo come motivo che caratterizza la nuova Resistenza da realizzare oggi:

  • contro i fascismi/sovranismi/populismi che, sebbene parzialmente oscurati dalla pandemia in atto, sono pronti a ritornare in campo ed a prendere il sopravvento, mettendo in un angolo la Costituzione stessa,
  • ma anche contro il liberismo imperante che ne costituisce il brodo di coltura.

Non solo: dalla nuova Resistenza dovrebbe scaturire la svolta, da tradurre in fatti concreti – senza limitarsi alle sole parole -, che ha come orizzonte la sopravvivenza del pianeta (come da quella di oltre 75 anni fa ebbe origine la svolta che portò alla Carta Costituzionale repubblicana).

È inutile ripetere che non bisogna uscire dal clima emergenziale tornando alla normalità di prima, se questa uscita non si comincia a prepararla fin da ora, con elaborazioni, confronti, atti che progressivamente costruiscono il “nuovo”.

Occorrono indubbiamente politiche radicalmente diverse a livello istituzionale (in Italia ed anche in Europa), ma è necessario muoversi pure dal basso, ponendo gli obiettivi della tutela ambientale a partire dai luoghi in cui si abita (dai comuni, dai quartieri, persino dai condomini).

La necessità, indubbia, di far ripartire il mondo produttivo – dopo la parziale sospensione delle attività dovuta al corona/virus – costituisce un’occasione per porre con forza la questione della riconversione ecologica dell’industria, dello stop immediato alle grandi opere inutili e dannose (di cui, invece, si sollecita, da più parti, l’attuazione proprio per dare il segnale del rilancio dell’economia), degli indispensabili investimenti per la difesa del territorio, il recupero delle zone abbandonate, la riqualificazione dell’agricoltura (questi sì elementi che rilancerebbero l’economia, ma in una direzione diversa, in sintonia con la lotta ai mutamenti climatici).

Per uscire dall’emergenza climatica – Vanno riprese esperienze passate che cercavano di mettere insieme, sul territorio, ai fini del cambiamento, le realtà dei movimenti, dei saperi, delle istituzioni locali (da ricordare la breve, ma intensa, stagione della Rete del Nuovo Municipio, che, all’inizio degli anni 2000, fu attivamente presente, particolarmente in Toscana). E bisogna assumere al centro delle iniziative gli impegni per uscire dall’emergenza ambientale e climatica:

  • avvalendosi della spinta dei giovani e giovanissimi di “Fridays for future”,
  • dando avvio a sperimentazioni che prefigurino il nuovo da costruire,
  • collegandosi a chi si batte per la pace, per l’accoglienza e l’inclusione dei/delle migranti, per abbattere le barriere dell’intolleranza e del razzismo.

Un mondo ambientalmente sostenibile, rispettoso della natura e di tutti gli esseri viventi, non può che essere in pace – anche se non privo di conflitti sociali -, solidale, antirazzista. E questi elementi

devono essere parti essenziali dell’attività dei gruppi, dei comitati, delle realtà di base da costruire territorialmente.

Vi è anche un’altra via di uscita dall’emergenza: prevede l’affidarsi all’ “uomo forte”, il venir meno della partecipazione e perfino la messa in mora di alcune garanzie costituzionali. Una prospettiva sicuramente da contrastare con forza, non solo opponendovisi, ma dando vita a quel movimento di nuova Resistenza che ho cercato di indicare, sommariamente, in precedenza.

La riqualificazione della politica e della sinistra – È in questa costruzione, che significa anche ridare senso e qualità alla politica – spesso oggi ridotta a contese per il potere prive di riferimenti alle condizioni delle persone in carne ed ossa ed a progetti di nuova società -, che può trovare un ruolo una sinistra profondamente rinnovata, in grado di coniugare la difesa degli emarginati, degli ultimi, di chi vive del proprio lavoro, la lotta per l’uguaglianza, il prevalere del senso della collettività sulla competizione individuale (gli elementi cioè che costituiscono il suo DNA) con la tutela intransigente dell’ambiente – per dare una speranza di vita al pianeta ed all’umanità -.

Oltre che procedere all’azzeramento delle grandi opere, a Firenze, come in altre realtà con le stesse caratteristiche, è estremamente necessario rivedere le linee di sviluppo – urbanistiche, sociali, economiche – della città, ridefinendo ruolo e funzioni dell’intera area, in modo che essa non abbia più al centro il turismo “mordi e fuggi” (in grave crisi a causa del corona/virus, con conseguenze tremende a livello delle imprese e dell’occupazione), e costruendo un progetto, alternativo a quello attuale, in grado di riqualificare le periferie, di intervenire sulle tante realtà di emarginazione, di valorizzare la cultura, senza ridurla ad un fatto elitario, di produrre impegni concreti per la riconversione ecologica del sistema produttivo e per dare spazio alla cooperazione sociale.

Uno spirito di lotta e di cambiamento – Sono lo spirito, la tensione, la voglia di operare insieme, che hanno caratterizzato altri periodi difficili o comunque densi di prospettive di cambiamento (la Resistenza dal ’43 al ’45, l’alluvione del ’66, la stagione dei “social forum”, per fare degli esempi), a dover tornare pienamente in campo. A cominciare da un impegno per riconquistare l’egemonia sul piano culturale, del linguaggio, dell’opinione diffusa, su un terreno cioè che vede attualmente il predominio di un senso comune dominato dalla paura nei confronti di chi è ritenuto diverso, dalla ricerca della sicurezza intesa come ordine pubblico, dall’individualismo – ognuno è imprenditore di se stesso, in concorrenza con le altre persone -.

La reazione ad un pericolo – il corona/virus – che colpisce tutti/e e che comporta misure da adottare collettivamente ha per lo meno incrinato tale senso comune.

Occorre agire, attraverso il confronto, da sviluppare anche in modo conflittuale (altro che concordia nazionale!) perché l’incrinatura si allarghi e dia luogo ad ulteriori riflessioni – sul ruolo del pubblico e dei beni comuni, sulla centralità del tema ambientale, sulle “riconversioni” da mettere in moto, a livello individuale, sociale, istituzionale, politico -.

Il banco di prova immediato è la ridefinizione del sistema sanitario, un sistema pubblico che nel nostro Paese aveva avuto nel secolo scorso una progettazione di grande qualità (una delle migliori al mondo, basata su criteri di universalità), ma che poi nel tempo era stato colpito dalle privatizzazioni e dalla drastica riduzione di risorse nel nome dell’austerità.

La pandemia ha messo in risalto la scelleratezza di un simile processo e l’esigenza di ritornare rapidamente ad un sistema interamente pubblico con investimenti adeguati in personale e strutture.

Sono da sostenere con forza le campagne che chiedono la riduzione delle spese in armamenti, a cominciare da quelle per gli F35, per spostarle sugli investimenti nella sanità, da ritenere prioritari – “non armi, ma ospedali” – (vedi le proposte di Medicina Democratica e di Sbilanciamoci).

Tutto ciò non sarà indolore, ma frutto di lotte, di iniziative, di capacità di azione su diversi piani – da quello culturale a quello sociale e politico -. Per ora vi sono scarsi segnali in questo senso, ma è indispensabile insistere, perché è l’unica strada per uscire dall’emergenza pandemica non tornando alla normalità passata, ma impostando progetti diversi, alternativi, che diano luogo ad una nuova Resistenza, appunto. Accompagnata dal canto di “Bella ciao”, non più solo memoria di un passato lontano, ma segno di un impegno ormai improcrastinabile al fine di cambiare rotta.

Moreno Biagioni

#VisioniPerCambiare

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