22 Giugno 2021
In questi primi mesi del governo Draghi stiamo assistendo a cambiamenti radicali, pessimi, che investono sia la struttura democratica del nostro paese, sia il tema dell’economia e della giustizia sociale. Se all’inizio, al momento dell’insediamento del governo, era forse lecito qualche dubbio, adesso è davvero difficile non riconoscere il carattere di fondo iperliberista dell’esecutivo. Di un neoliberismo paradossale e parassitario, esaltazione dell’iniziativa privata, ma con i soldi pubblici. L’allievo di Federico Caffè resta quello del pilota automatico che ha massacrato la Grecia. Nel cuore del PNRR esiste certo un ruolo dello stato, ma è quello di agevolare il più possibile l’accumulazione di risorse e la realizzazione di profitti da parte delle aziende. Sono loro il motore dello sviluppo, anzi della crescita economica, l’unico valore profondo della società. Compito della collettività è non frapporre ostacoli, non indirizzare altrove finanziamenti, non pensare a un intervento pubblico che non sia di puro sostegno all’iniziativa privata. E soprattutto, naturalmente, non tassare le ricchezze. Quelle diventeranno, per una sorta di movimento ontologico, investimenti, gli investimenti lavoro, il lavoro reddito. Dall’accumulo e dalla concentrazione di ricchezza e potere deriverà il benessere generale della società. Anzi sgocciolerà, secondo la teoria che ha sostenuto la rivoluzione conservatrice iniziata negli anni Ottanta. Teoria smentita da tutta la letteratura scientifica e oggi abbandonata anche da un moderato come Joe Biden. Per realizzare tutto questo i lavoratori devono essere disposti a tutto, a lavorare a qualunque condizione. In questo quadro, l’unico lavoro sicuro è quello che c’è e va accettato ‘whatever it takes’, non è più quello che non ferisce o non uccide. La sicurezza sul lavoro rallenta evidentemente l’efficienza e le semplificazioni del sistema di spesa. Per questo il reddito di cittadinanza è considerato una specie di perversione morale dei giovani, responsabile di un intollerabile vizio, l’abitudine e il “piacere del divano”: ragazze e ragazzi non accetteranno di lavorare per salari da fame se non saranno affamati, disponibili anche a condizioni lavorative semi schiavistiche. Al contrario, proprio questo è il merito del reddito di base: permettere di rifiutare lavoretti umilianti sotto-pagati o addirittura il lavoro gratuito, giustificato dall’esigenza di fare curriculum e diventare così brillanti imprenditori di se stessi. La povertà è una colpa. Il sostegno al reddito assistenzialismo. Allora perfino una misura modesta e di tradizione liberale come la tassazione delle successioni per i patrimoni più cospicui, non viene neppure presa in considerazione. La meritocrazia tanto celebrata come legittimazione delle “giuste disuguaglianze”, mostra qui la sua natura più autentica, quasi ontologica. È stabilita da prima del concepimento, si nasce ricchi cioè meritevoli. Una forma di superiore predestinazione. (Peraltro in quella famiglia avrai i libri importanti, farai le scuole giuste, ti presenterai agli esami con il curriculum adeguato. Alla fine avrai il voto che effettivamente “ti meriti”, mica sarai privilegiato). Ma pensare di intervenire sulla trasmissione dei patrimoni diventa mettere le mani in tasca agli italiani – perché va da sé che gli italiani sono tutti uguali, la società è un insieme organico dove non esistono differenze o