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La Resistenza, un movimento di popolo a livello europeo

25 Aprile 2020
Il 25 aprile si festeggia la vittoria sul nazifascismo, un “mostro” che intendeva assoggettare il mondo. Una vittoria non definitiva: come ha scritto Bertold Brecht, “il grembo che lo partorì è ancora fecondo”. È estremamente importante, quindi, mantenere vivo, attivo, capace di incidere, quello spirito di Resistenza che fu determinante per la sua sconfitta. Fu un movimento di popolo che attraversò vari paesi e unì, in nome dell’umanità e della civiltà, persone diverse – per origine e ruolo sociale, per convinzioni politiche, per orientamenti ideali. La Resistenza si attuò, naturalmente, attraverso la lotta in armi dei partigiani e delle partigiane e il lavoro prezioso, altamente pericoloso, di chi – in genere donne – faceva da staffetta e portava in giro le armi, ma fu qualcosa di molto più ampio (che rese possibile ad un ristretto numero di coraggiosi/e combattenti, male armati/e, di affrontare un nemico dotato di armi potenti). Fu Resistenza: la solidarietà concreta di contadini/e, che permise alle bande partigiane di resistere sui monti, il sostegno alla popolazione ebrea che cercava di sfuggire al tragico destino che l’avrebbe portata nei campi di sterminio (in Danimarca si riuscì, facendoli passare di città in città, di paese in paese, di villaggio in villaggio, a trasferirne la quasi totalità in Svezia, nazione non occupata dai nazisti), gli atti di cura rivolti a coloro che fuggivano dai campi di concentramento o erano renitenti alla leva, compiuti per lo più dalle donne, il rifiuto di collaborare con i nazisti occupanti (in un romanzo “Il silenzio del mare”, diffuso clandestinamente in Francia durante l’occupazione, questo atteggiamento diviene, emblematicamente, il silenzio assordante di un nonno e del suo piccolo nipote nei confronti dell’ufficiale tedesco che sono costretti ad ospitare), l’opera continua d’informazione – di contro/informazione – e di sensibilizzazione effettuata, a rischio della vita, nelle città occupate, con la diffusione di volantini e della stampa clandestina, l’effettuazione di scioperi per “il pane e per la pace”, da parte della classe operaia, come avvenne nell’Italia ancora sotto il giogo nazifascista nel 1943 e nel 1944, l’impegno dei lavoratori e delle lavoratrici per impedire la distruzione, o i danneggiamenti, delle attrezzature degli stabilimenti, in modo da poter poi riprendere il lavoro in tempi brevi a guerra conclusa, il diniego dei militari italiani deportati in Germania, e rinchiusi nei campi, di aderire alla Repubblica di Salò, diniego che riguardò la maggior parte di loro e che li mantenne in prigionia, la capacità di autogoverno che portò alle esperienze delle “repubbliche partigiane” in alcune zone temporaneamente liberate ed alla nomina di amministratori cittadini da parte del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) subito dopo la liberazione, come accadde a Firenze nell’agosto del 1944, il mantenere una vita culturale, critica e di opposizione, nelle condizioni drammatiche dell’oppressione dittatoriale e della guerra. Certo, le truppe alleate furono determinanti per sconfiggere sul campo i nazi-fascisti, ma la Resistenza popolare, oltre a dare un notevole contributo anche sul piano militare, risultò essenziale per creare un clima diverso, ostile al fascismo ed al nazismo, per giungere

25 aprile 2020: non ti chiedo di amarmi sempre così, ma ti chiedo di ricordare

25 Aprile 2020
In piazza Poggi, il 25 aprile, per il pranzo dell’Anpi. Il sole, le bandiere e gli abbracci. Poi in Santo Spirito il pomeriggio con le bancarelle, i libri e la manifestazione. L’inizio della primavera. Per tutte e tutti una festa vera. In un certo senso proprio di famiglia. Un po’ perché ci vai portando bambine e bambini, genitori e nonni. Un po’ perché ti senti davvero “con i tuoi cari”. Anche se sconosciuti. Con le persone con cui condividi pensieri e parole e sentimenti. Una specie di fratellanza. Sentire quasi fisicamente l’appartenenza a una comunità, l’avere uno sguardo condiviso sulla vita. Un senso comune. Sui prati di Firenze, al De Martino di Sesto, a Fosdinovo, si sono sempre incontrate generazioni diverse, ed è anche questo un piccolo miracolo, non succede spesso negli ultimi anni: per i giovani la politica è un’altra cosa rispetto a chi ha vissuto la storia del Novecento. È coinvolgimento personale, immediato, esistenziale – volontariato più che militanza. E tuttavia quando venivano nelle scuole i vecchi partigiani a raccontare se stessi, avevano sempre un successo straordinario: perché parlavano della loro vita, delle sofferenze e delle speranze, degli amici perduti. E si commuovevano nel ricordare. In uno splendido libro, “La resistenza taciuta”, si può leggere il ricordo di Teresa Cirio, giovane staffetta della resistenza piemontese. “Una volta mentre facevo uno di questi viaggi, capita un bombardamento e un mitragliamento spaventoso. Mi butto giù dal treno, così come viene, e finisco in un prato. Mi buttavo sempre a terra col mio corpo sopra la valigia dal doppio fondo (…). Mi butto nel prato. Era primavera e nel prato c’erano delle viole, delle viole! E io, talmente mi piace la natura, mi faccio un bel mazzetto, durante tutto il bombardamento. E poi arrivo sul treno. Tutti mi hanno guardata così… Perché io me ne arrivavo lì, con le mie viole, tutta contenta. Si rischiava la morte, però talmente c’era la gioia di vivere! Delle volte io leggo che i compagni erano tetri. Non è vero. Eravamo sereni. Anzi eravamo proprio felici, perché sapevamo che facevamo una cosa molto importante”. Per quei grandi vecchi la politica era quella cosa importante di Teresa. Una cosa che dà felicità. Allegria perfino nel naufragio. Credo che questo abbia senso anche per i giovani. Ancora. Il 25 aprile ci si ritrova in una sorta di rito laico, collettivo. Una religione civile, di appartenenza culturale, etica, emotiva. Quest’anno sarà più difficile essere vicini. Niente piazze, bandiere, veri abbracci. Niente pane da spezzare insieme, da compagni. E il ricordo di tante persone che se ne sono andate. I loro cari, figlie e figli, nipoti, li hanno visti uscire in ambulanza e poi più niente. Forse una telefonata o una email – l’equivalente del telegramma in tempo di guerra. Neppure una piccola cerimonia. E dopo la prima ondata di solidarietà dai balconi o dai messaggi sui muri, che ha risposto intensamente alla chiusura di tutto, oggi la sensazione è che avanzi forte la stanchezza, il senso di solitudine,

#6MilioniPerFirenze: la proposta

24 Aprile 2020
Soldi immediati per l’Emergenza economica e sociale. Serve un intervento economico diretto e immediato del Comune Ora. Una proposta da 6 milioni di euro. SPENDERE PER COSA La nostra proposta è finalizzata a: ·         PACCHI ALIMENTARI– rendere permanente per il 2020 l’erogazione ·         BUONI SPESE: ripetere la distribuzione terminata allargando la platea a chi è risultato escluso ·         CONTRIBUTI AFFITTI– si prevede di coprire ulteriori 2.200 famiglie ·         FONDO BOLLETTE/LIQUIDITÀ– si prevede di istituire un fondo per piccoli contributi di liquidità per famiglie in assoluta – almeno 1.000 famiglie DOVE RECUPERARE LE RISORSE Nel PESSIMO bilancio comunale, una giunta che ha il CORAGGIO di impegnarsi per questa emergenza può immediatamente, con CORAGGIO, attivare le seguenti proposte, divise in 3 capitoli. CAPITOLO PARTECIPATE ·         Erogazione da Toscana Energia– A Prato Consiag ha erogato come donazione liberale 1 mln di euro per l’emergenza ai comuni pratesi. CHIEDIAMO al Comune di attivarsi su per analoga erogazione e di destinare tali risorse ai Pacchi Alimentari ·         Anticipazione del 50% dei canoni e degli utili da Publiacqua e Toscana Energia. Prevediamo di utilzzare il 17% di tale importo pari a euro 2,5 mln per i Buoni Spesa. ·         Utilizzo del fondo morosità di Publiacqua pereuro 300.000 per Fondo Bollette BILANCIO COMUNALE ·         Riduzione Spese per Pandemia– in questi mesi si sono ridotte le spese per utenze e consumi. Si consideri che le spese sono circa 27 mln complessive annue. Prevediamo un risparmio di 2 mln da destinare per il 10%, ovvero 200.000 al fondo bollette MUTUI ·         Mutui-pagamento solo del capitale e non degli interessi. Ad oggi su 62 mln di restituzione mutui circa 8.4 mln sono di interessi. Rimodulazione della restituzione dei fondi, senza sospensione pagamenti del capitale, ma rinvio degli interessi a dopo che arrivano somme da Governo e tasse per coprire. Operazione emergenziale: utilizzare quelle somme di cassa per spesa immediata. Recupero entro il 30/06 di almeno 3 milioni. Proponiamo di impegnare 2 mln per il contributo affitti. Per fare questo ci vuole un’amministrazione coraggiosa. CONCLUSIONI L’equilibrio del bilancio comunale (sul cui stato stiamo completando l’analisi generale) può essere garantito solo da un intervento straordinario dello Stato. Esprimiamo grande preoccupazione, la stima annunciata dal governo di 3,5 miliardi è assolutamente insufficiente, la necessità è di 7 miliardi. Lo ribadiamo.  Ma questa situazione che riguarda tutti i comuni italiani, non può essere la giustificazione a non intervenire rispetto all’emergenza della nostra città. #6MilioniPerFirenze Allegati:La situazioneSpeseNuove entrate Foto di aymane jdidi da Pixabay

Non sta andando tutto bene. 6 milioni di euro per raddoppiare gli aiuti: ecco come

24 Aprile 2020
La proposta di Sinistra Progetto Comune e Firenze Città Aperta. Bundu, Palagi, Torrigiani e Grassi: “I problemi del bilancio vengono da lontano e attraversano una città dove tante persone sono in difficoltà. Ecco le nostre proposte per trovare soldi necessari ad aiutare i pagamenti delle bollette e la sopravvivenza di chi è rimasto tagliato fuori dagli aiuti” “Non andrà tutto bene, ma soprattutto, non sta andando tutto bene” dichiarano la consigliera Antonella Bundu e il consigliere Dmitrij Palagi di Sinistra Progetto Comune. “Tante persone non riescono ad accedere agli strumenti di sostegno materiale pensati dalle istituzioni. Le responsabilità – aggiungono Bundu e Palagi – non sono unicamente della Giunta e capiamo le difficoltà, ma occorre un impegno condiviso per trovare soluzioni coraggiose. Dirsi che stiamo facendo il massimo per non affrontare i problemi sarebbe l’errore più grande”. “Firenze Città Aperta è dall’inizio della pandemia impegnata a sostenere le numerose risposte solidali che sono nate nei nostri quartieri” aggiunge Francesco Torrigiani, co-portavoce di FCA e consigliere del quartiere 1. “Abbiamo misurato direttamente le difficoltà di tantissime persone e qualsiasi realtà può testimoniare storie di chi è rimasto fuori dagli aiuti. Manca inoltre completamente una forma di sostegno al pagamento delle utenze. Se è vero che per questa fase non sono previsti stacchi e morosità, ci sono tante situazioni debitorie precedenti – continua Francesco Torrigiani – che non sono state sospese e, soprattutto, tutti i pagamenti sono solo rinviati, come le difficoltà a sostenere le spese”. “I problemi del bilancio del Comune di Firenze vengono da lontano” conclude Tommaso Grassi di Firenze Città Aperta e già capogruppo di Firenze Riparte a Sinistra in Palazzo Vecchio. “Questo – prosegue Tommaso Grassi – non è il momento di evidenziare tante difficoltà che oggi si sarebbero potute evitare, specialmente nel rapporto che avevano le nostre casse con i flussi turistici incontrollati. È il momento di trovare soluzioni. Noi le stiamo offrendo, con i numeri che alleghiamo. Risorse necessarie per dare sollievo alla drammatica situazione di tante famiglie e persone. Abbiamo anche avanzato una proposta precisa di quali possano essere le voci da cui recuperarle. Molto ancora può essere fatto e deve essere fatto”. “Il Comune di Firenze deve intervenire con risorse proprie: nelle difficoltà – concludono Grassi, Torrigiani, Bundu e Palagi – il primo impegno di tutta la Città deve essere quella di partire da chi è più in difficoltà”. Sinistra Progetto Comune e Firenze Città Aperta #6MilioniPerFirenze

Luis Sepúlveda: l’uomo che riuscì a conservare la gioia

24 Aprile 2020
Chi era Luis Sepúlveda? Un uomo da un migliaio di libri e un milione di letture? O forse un poeta che incoraggiava molti con le sue parole in modo che si togliessero le vesti della paura e spiccassero il volo della libertà? Era un grasso gatto nero o una gabbianella agonizzante oppure un guscio di speranza? Dovette fare lo scrittore, giornalista e regista per fare una radiografia affidabile del mondo. Si scoprì marxista e agnostico per essere più credente nelle sue idee e convincersi che dio è inaccessibile, benché sia nella bocca di tutti, alleluia, amen. Chi lo chiamò Luis? E da dove arriva Sepúlveda? Sembra un cognome legato all’eruzione di un vulcano nella sua giovinezza e alle semplici ma profonde lettere nella sua maturità. Chi gli raccontava storie? Chi gli leggeva libri? Dicono sia stata sua nonna, dicono che gli riempì la testa di parole da fare scoppiare un giorno tra le sue mani. Dicono pure che sognava la rivoluzione, un mondo più giusto per tutti. E che si riempì di idee, teatro, argomenti, el pueblo unido jamás será vencido. Si racconta che perse, ma erano proprio le storie dei perdenti quelle che lui preferiva raccontare, le figure perfette dei vincitori non lo interessarono mai. Malgrado il suo valore come intellettuale e scrittore rinomato, la gente comune fu il suo punto di partenza per tutte le cose. Perché nacque proletario e capiva meglio di tutti la realtà; perché nonostante sia dura, ha della magia. E Luis Sepúlveda fu lo strillone della strada, la lavandaia di quartiere, il calciatore di riserva, la regina del marciapiede. Tutti gli uomini e tutte le donne che sciolgono il nodo della morte da lunedì a lunedì per respirare la vita, quella poca rimasta. Cosa sognava Luis? Forse che una volta trasformatosi in polvere sarebbe andato a trovare, finalmente, il vecchio Antonio José Bolívar Proaño per regalargli tutti i romanzi d’amore che la sua curiosità richiedesse. Gli sarebbe piaciuto andare con lui nel profondo della foresta amazzonica dell’Ecuador e condividere con i suoi amici Shuar quella vita di armonia con la natura e sentire che gli alberi, i sassi, i fiumi e gli animali sono uno, sono lui. Oppure tornava una e mille volte a quei ricordi da bambino calciatore del Club Magallanes e al KO propinatogli da Gloria, la ragazza dei suoi sogni che lo abbagliò e gli disse che non le piaceva il calcio ma preferiva la poesia? Fu quello il calcio definitivo per indirizzarlo verso il mondo dei libri, verso l’impegno con la sua gente. O forse avrebbe preferito tornare in America Latina, a Santiago? Camminare per le sue strade, rimuovere le sue grida, salutare i suoi morti? Sicuramente vorrà bere un bicchiere di vino di fronte alla tomba di Salvador Allende e spaccare la bottiglia vuota in quella di Pinochet e lanciare una bestemmia che colpisca in viso Piñeira, che è quasi come dire Augusto ma senza medagliette sul petto, pezzi di spazzatura che meritano l’oblio. Sicuramente camminerebbe insieme alla gente

Il 25 aprile a Firenze: San Frediano antifascista e resistente

23 Aprile 2020
Nel suo saggio “Fascisti Toscani nella Repubblica di Salò”, Andrea Rossi, in riferimento a Livorno, parla di “antifascismo umorale”, un termine appropriato per molte realtà locali dell’antifascismo popolare toscano e spesso sovrapposte alla realtà di un antifascismo ideologico, anche precedente alla Resistenza del 1943-45. Nel quartiere di San Frediano a Firenze questo fenomeno di amalgama fra istinto e coscienza politica si ripropone in tre grandi periodi dell’antifascismo: quello delle origini, che porta ai tumulti popolari del 1921 in seguito all’assassinio fascista del sindacalista Spartaco Lavagnini; quello passivo (e, sì, in questo caso soprattutto “umorale”) che sopravvive agli anni di normalizzazione del regime e si nutre soprattutto delle relazioni e delle memorie familiari; e quello che ritorna di massa come nel ‘21, ma più duraturo nel tempo, attraverso il periodo drammatico dell’occupazione tedesca e della lotta partigiana, lo stesso che ha garantito a lungo anche nel dopoguerra una certa identità politica di quartiere ribelle. La socialità di San Frediano è stata dal XIX° secolo all’inizio del secondo dopoguerra qualcosa di particolare: non da quartiere operaio come il vicino “Pignone”, ma da area di sottoproletariato e piccolissima borghesia insieme; dove nelle stesse famiglie potevano convivere la sovversione politica e la micro-criminalità dei poveri; il piccolo artigiano, con l’anarchico “professionale”, con il ladruncolo, con la prostituta. Il fascismo, come racconta il professore Stefano Gallerini in “Antifascismo e Resistenza in Oltrarno”, mette ordine poliziesco e autorità, ma mai radici in questo microcosmo caotico. E se il regime in guerra crolla una prima volta il 25 luglio 1943 come un castello di sabbia in tutta Italia, la storia dell’Oltrarno nella Resistenza fiorentina dimostra come da qualche parte le fondamenta sono sempre state deboli. Le vicende della Resistenza a Firenze sono quelle di tanti quartieri, ma l’Oltrarno ne è in buona parte l’avanguardia politica: vi ha vissuto Bruno Fanciullacci, organizzatore dei Gruppi d’Azione Patriottica (GAP), la Resistenza Urbana; è nato nel già citato Pignone e conosce bene San Frediano e la sua gente Aligi Barducci, il futuro comandante partigiano “Potente”; soprattutto vi è quasi inesistente, sotto l’occupazione nazista, il nuovo “fascismo repubblicano” della “Repubblica Sociale”, che cerca di riaprire il vecchio circolo rionale fascista di San Frediano, il “Luporini”, ma senza consensi. Questa ostilità viene infine pagata dagli abitanti del quartiere il 17 luglio 1944 con l’uccisione di 5 civili, tra cui il bambino di 8 anni Ivo Poli, da parte degli uomini della Banda Carità, i più feroci fra i collaborazionisti toscani. L’Oltrarno è anche avamposto della discesa in città delle formazioni partigiane, prima fra tutte la Divisione Arno del Comandante di “Potente”. La Liberazione fiorentina, ufficialmente associata all’11 agosto, in Oltrarno inizia con l’arrivo delle formazioni partigiane tra il 3-4 agosto. Qua inizia anche la prima grande battaglia urbana della “Divisione Arno” e dei civili fiorentini: i tedeschi si sono già ritirati nella parte nord della città, ma si scatena intanto lo “snipering” dei “franchi tiratori”, circa 200 fra gli elementi più disperati e fanatici che i fascisti fiorentini in fuga verso nord lasciano

Verso il 25 aprile: la Resistenza oggi

23 Aprile 2020
Il ricordo di quanto accadde oltre 75 anni fa in vari paesi di Europa, e riuscì a sconfiggere il nazifascismo, deve essere di stimolo per vedere di quale Resistenza c’è urgente bisogno oggi, in un mondo in cui continuano guerre ed oppressioni, aumentano le diseguaglianze, si susseguono episodi di disumanità. In una realtà mondiale, in cui prevalgono personaggi truci come Trump e Bolsonaro, si affermano un po’ dovunque forze populiste e reazionarie, ricompaiono minacciose le destre scopertamente fasciste, è da esperienze come quelle del popolo curdo nel Rojava con le sue amministrazioni autonome – con al centro la parità di genere, l’ambientalismo, l’intercultura – che può venire un forte impulso per resistere al dominio della finanza internazionale ed a lottare per nuove forme di democrazia sociale. Oltre che da tali esperienze, la spinta alla mobilitazione viene anche dalle lotte contro la globalizzazione liberista, che continuano a svilupparsi nonostante le condizioni avverse, nonché dai movimenti messi in atto, un po’ dovunque, dalle giovanissime e dai giovanissimi, relativi ai cambiamenti climatici, per assicurare la sopravvivenza al pianeta (movimenti che, sviluppandosi, si trovano a dover fare i conti con il sistema capitalista, principale responsabile dell’attuale situazione di grave pericolo per la sorte dell’ambiente in cui viviamo) Si tratta di iniziative e fermenti che danno un segnale di speranza in un momento che potrebbe indurre alla disperazione o alla rassegnazione. Mentre invece è estremamente necessario mettere in campo tutte le energie e le risorse possibili per costruire una nuova Resistenza che sviluppi solidarietà, accoglienza, inclusione e riesca a sconfiggere intolleranza, disumanità, razzismo, fascismo e il liberismo che ne costituisce il brodo di coltura. Una Resistenza che oltrepassi le frontiere (“nostra patria è il mondo intero”, come si afferma in un vecchio canto anarchico), assuma carattere internazionale, travolga le barriere sovraniste e populiste, assuma come temi principali le questioni dell’ambiente, del lavoro e della sua precarietà, della lotta alla violenza maschile sulle donne. Con un impegno rinnovato, a livello culturale, per far diventare egemoni queste idee nella società, oggi pervasa da un pensiero comune che esalta l’individualismo e il privato. L’internazionalismo oggi si manifesta (faccio alcune esemplificazioni) attraverso scelte come quella di Lorenzo Orsetti, un partigiano nostro concittadino che è morto combattendo a fianco del popolo curdo nel Rojava, nelle iniziative di alcune ONG – pensiamo in particolare alle organizzazioni impegnate nei salvataggi dei/delle migranti naufraghi/e nel Mediterraneo o comunque attive nella cooperazione internazionale (nella parte di essa non asservita a mire neo-colonialiste), nell’attività degli operatori sanitari cubani che intervengono in varie parti del mondo (anche nella fase attuale, impegnandosi anche nei Paesi che partecipano all’embargo contro Cuba voluto dal Governo USA). La pandemia del coronavirus, con tutte le tragedie che comporta, ha reso ancora più evidente la necessità che il pubblico e i beni comuni prevalgano sul privato, a partire dalla sanità, che si cambi radicalmente rotta, che si torni allo spirito ed agli ideali che animarono chi combatté i nazi-fascisti. Per una nuova Resistenza in nome dell’umanità e della civiltà. Moreno Biagioni #CronacheDalFuturo

RSA e Covid-19: la necessità di avere informazioni

22 Aprile 2020
“Le RSA e le RA presentavano numerosi problemi anche prima dell’emergenza Covid-19. Ne abbiamo parlato numerose volte, sia in Regione Toscana che all’interno di Palazzo Vecchio, anche grazie alle proposte o alle denunce della sinistra di opposizione. Le associazioni a tutela dei diritti e le parti sindacali da anni denunciano limiti e mancanze di un sistema da ripensare. La scelta di schiacciare tutto nella dialettica pubblico-privato non ci convince, pur essendo indiscutibilmente a favore del pubblico. Ci sono troppi luoghi dimenticati dalla società, vissuti come spazi in cui nascondere le fragilità, di cui il sistema non è in grado di farsi carico. Il volontariato e la generosità dei parenti sono spesso l’unica soglia a difesa della dignità umana delle persone. In queste settimane il tema è esploso a livello nazionale e anche sul nostro territorio aumenta la paura. In una democrazia la premessa indispensabile è l’informazione. Cosa succede all’interno delle RSA e delle RA? Spesso le comunicazioni mancano addirittura tra utenza e nuclei familiari. È uno dei temi posti anche da lettere dell’associazioni rivolte direttamente a Palazzo Vecchio. Poi c’è un livello di informazione fortemente richiesto dalle parti sindacali, rispetto alle condizioni di chi lavora nelle strutture, a propria tutela e a tutela delle persone ospitate. Si aggiunge il piano più strettamente istituzionale: come viene gestita la situazione sul territorio? Quante strutture sono interessate da commissariamento? Quali problematicità maggiori sono emerse? Come procedono i monitoraggi? Per chi lavora e per l’utenza quanti tamponi vengono fatti, in che tempi? Quali sono i dati e come vengono aggiornati per quanto riguarda gli alberghi Covid-19? Come si immagina la gestione delle quarantene e del distanziamento che dovrà proseguire ancora per qualche mese? La sensazione in città non è positiva. Le persone morte comunicate come numeri, un forte silenzio attorno alle situazioni critiche, l’estremo imbarazzo di dover ammettere che le situazioni fragili sono rimaste indietro nell’emergenza… Il Consiglio comunale può e deve svolgere una funzione di informazione, controllo e di dialogo con la cittadinanza, anche a partire dai Consigli di quartiere. A questo livello, infatti, ci risulta che solo in un caso siano arrivate alcune delle risposte alle domande dei nostri gruppi. Come Sinistra Progetto Comune abbiamo anche recentemente promosso un’iniziativa pubblica telematica in cui abbiamo evidenziato l’importanza della politica e dei territori nel ripensare un sistema socio-sanitario attaccato da decenni di tagli, che deve lavorare sulla cura e sulla prevenzione. La seduta delle commissioni congiunte di venerdì deve dare delle risposte. In questi giorni le paure e i timori aumentano, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Il modo migliore per uscire da questa situazione è conoscere il quadro reale. Ascoltare. Rispondere. Non è semplice, ma è indispensabile”. Firenze Città Aperta e Sinistra Progetto Comune Foto di Engin Akyurt da Pixabay

22 aprile 2070, pianeta Terra

22 Aprile 2020
Chi lo avrebbe detto… sono passati già cinquant’anni da quell’aprile del 2020 che vide il nostro pianeta riorganizzarsi dopo la grande pandemia. In pochi avrebbero scommesso sulla capacità di cambiare così drasticamente e in così poco tempo, le priorità dell’umanità. O meglio: cambiare le priorità dei paesi con le economie più “sviluppate”! È grazie a loro, infatti, che fu possibile la svolta. Il cambiamento. All’epoca tutte e tutti… beh, “quasi” tutte e tutti, avevano ben chiaro che non si sarebbe più potuti tornare allo stesso frenetico consumo delle risorse naturali, alla continua “crescita” come unico modello di “sopravvivenza”, alla sopraffazione dell’uomo sull’uomo e degli stati sugli stati. Non era più possibile. E non solo per il necessario bagno di umiltà che la nostra specie dovette fare di fronte alla forza di una natura troppo spesso violata, ma anche perché divenne evidente anche a chi fino ad allora si era voltato dall’altra parte, quanto le privazioni di beni e possibilità date sempre scontate, in realtà, scontate non sono. Un lavoro dignitoso, una casa decente, un buon livello di assistenza sanitaria, un sistema scolastico in grado di formare cittadini consapevoli, il valore della solidarietà verso chi non ce la fa. Tante persone, nell’opulento mondo occidentale, si trovarono in breve tempo a fare i conti con queste inattese difficoltà. Direttamente o indirettamente, nella propria famiglia o in quella dei vicini di casa, molte persone presero coscienza di ciò che era già la “normale” realtà di tanta parte dell’umanità. Fortunatamente riuscirono ad incanalare la voglia di reazione che questa situazione provocò in loro, in una richiesta di cambiamento! Anche grazie ad una classe politica che seppe ascoltare e capire, si cambiarono in pochi mesi e con poche leggi ben mirate, le regole della convivenza: le retribuzioni ebbero il riconoscimento di un livello minimo garantito, la contribuzione fiscale venne rivista con una maggiore progressività, il diritto alla salute venne garantito a tutti da adeguate strutture pubbliche, i programmi scolastici vennero rivisti e le sedi ampliate ed attrezzate, il trasporto pubblico venne intensificato e migliorato nella sostenibilità ambientale, il consumo di carne diminuì a vantaggio di prodotti vegetali meno energivori, la collaborazione tra le nazioni si intensificò su molti versanti, la produzione di energia da fonti rinnovabili ebbe un notevole incremento, insomma: si cominciò a realizzare quel cambiamento che oggi possiamo finalmente ammirare, a distanza di cinquant’anni da quel periodo e cento dal 22 aprile 1970, quando le Nazioni Unite celebrarono il primo Earth Day. I bambini che avevano dieci anni ai tempi della grande pandemia oggi sono adulti, e possono raccontare ai figli (e qualcuno anche ai nipoti) che i propri genitori seppero fare le scelte giuste, ed appena in tempo, oramai cinquant’anni fa. Roberto Di Loreto #CronacheDalFuturo

La periferia, la scuola e il distanziamento sociale

21 Aprile 2020
Firenze, Italia, anno 2020. Un anonimo quartiere di periferia uguale a tanti altri, con palazzoni molto grandi dai muri scrostati alternati a campi semi incolti. Un posto mal collegato con il centro della città e semi nascosto, nel senso che è difficile raggiungerlo per caso, devi sapere dove stai andando. Spesso questi luoghi sono fatti a strati, hanno quindi un centro magari nato da un vecchio paesino in cui si trovano le case storiche, assorbito dall’avanzare onnivoro dell’urbe. Di solito questo nucleo è abitato da famiglie di classe media, dopo c’è un diradarsi di abitazioni più moderne che va a finire nella zona dei palazzoni sopracitati da cui tutti prendono le distanze. Quest’ultimo strato, ovvero la periferia della periferia, ha una densità abitativa molto elevata e ospita le famiglie meno abbienti e meno istruite. Molti figli per ogni madre e padri che sovente se ne vanno a spasso. Pochi centri di aggregazione, per lo più affidati a cooperative e associazioni, in cui ragazze e ragazzi dal carattere indomabile trovano un ambiente che non li espelle e nel quale possono trascorrere momenti di vita adolescenziale prima che il tempo li conduca per sentieri già battuti dai loro progenitori. Perché il problema qui è spezzare il cerchio. Il circolo vizioso che porta gli adulti a fare scelte senza futuro come interrompere l’istruzione dei figli appena possono affinché quest’ultimi vadano a lavorare. Ma senza istruzione ti aspetta lo sfruttamento, non il lavoro. E una persona sfruttata è perennemente disperata, quindi capace di pensare solo all’immediato presente, non di fare scelte o investimenti a lungo termine. E così quello che per una famiglia di classe media è uno sforzo notevole, per una famiglia che abita da queste parti si trasforma in un ostacolo insormontabile. Hanno bisogno di più tempo per spostarsi perché tutto è lontano dal loro quartiere, i soldi bastano a malapena per mangiare e vestirsi, figurarsi per i libri! In mancanza di docenti i genitori non sono in grado di aiutare i loro figli con lo studio, perciò quello che non fa la scuola non viene proprio fatto. Ed è così che le figlie e i figli di questo posto iniziano a rimanere indietro fino a restare intrappolati. È vero che qualcuno, ogni tanto, riesce a uscire da questo vortice ma è l’eccezione. In questo quartiere la regola è che quello che doveva servire per emanciparti si trasforma in un fardello che perpetua il tuo svantaggio. La scuola da queste parti è diventata un ospedale che cura i sani, cosa che avrebbe addolorato Don Milani. Una scuola che non sa reinventarsi e che replica ovunque modelli burocratizzati di educazione, che chiede a tutte e a tutti le stesse cose, una scuola in cui Alberto Manzi non si riconoscerebbe. Poi ci sono le tecnologie della comunicazione che danno accesso alla rete, a una quantità inimmaginabile di conoscenza. Noi adulti abbiamo abbandonato i giovani con le porte spalancate davanti a un labirinto, così chi è stato abbastanza fortunato da avere persone generose e competenti

Firenze: dall’emergenza all’impegno solidale e partecipativo

16 Aprile 2020
La Firenze semi-deserta di questi giorni mi ha ricordato quella che ho visto anni fa nell’episodio fiorentino del film “Paisà” di Roberto Rossellini. Erano immagini che ricostruivano l’ambiente cittadino dell’agosto 1944, prima della battaglia che avrebbe liberato la città dai nazi-fascisti: nelle strade quasi senza anima viva – se ben ricordo, si vedevano solo una damigiana d’acqua che veniva fatta passare con una fune da un lato all’altro di una strada, delle persone con un carretto che attraversava una piazza del centro e poco altro – aleggiava un clima sospeso, di attesa. La memoria è andata, contemporaneamente, anche alle strade invase dalle acque impetuose dell’Arno durante l’alluvione del 1966, anche qui senza presenze umane, anche qui in attesa che le persone in carne e ossa tornassero protagoniste della vita della città. Si tratta di momenti diversi della storia di Firenze – uno collocato nell’ambito di una guerra mondiale, l’altro di dimensioni più locali –, però entrambi molto drammatici. Come quello attuale, collegato addirittura ad una pandemia che sta sconvolgendo ogni angolo della terra. Le ho citate, quelle situazioni del 1944 e del 1966, perché determinarono un impegno straordinario delle energie migliori della società, le spinsero ad organizzarsi, a battersi, a produrre cambiamenti profondi che rimasero anche al di là dell’emergenza. Nel primo caso, non solo la città fu liberata ad opera dei partigiani prima che arrivassero le truppe alleate, ma il CLNT (Comitato di Liberazione Nazionale della Toscana), articolatosi in sotto-comitati rionali – a cui spettò un ruolo importante nel periodo che portò alle prime elezioni amministrative –, dette vita ad un governo cittadino espressione delle forze della Resistenza. Nel secondo, fu l’autorganizzazione popolare, mentre le istituzioni finivano anch’esse sott’acqua, a produrre i primi soccorsi nei rioni alluvionati: nacquero così i comitati di quartiere ed un movimento che si sviluppò poi nell’arco degli anni ’70, incidendo profondamente sulla vita della città. Oggi, evidentemente, ci troviamo davanti a problemi diversi, molto complessi, ma credo che dovremmo affrontarli con lo stesso animo di allora, basandosi sul senso della collettività, sull’affermazione del ruolo essenziale del pubblico e dei beni comuni, sulla centralità dello spirito di solidarietà e della partecipazione, sull’importanza della democrazia costituzionale, da tutelare con forza, e avviando sul territorio la formazione di quei comitati di base che Guido Viale ha indicato più volte, nei suoi articoli, come indispensabili per affrontare la crisi climatica, per portare avanti la riconversione ecologica, per promuovere nuove occasioni di lavoro. Occorre cominciare ad operare in tale direzione, con tutti gli strumenti disponibili, seppure nell’isolamento provocato dall’attuale quarantena. In altre parole, è necessario impegnarsi a fondo per cambiamenti radicali (affinché niente, dopo l’emergenza, sia come prima), riproponendo anche la prospettiva del socialismo, di un socialismo libertario che sappia cogliere appieno i contributi dell’ambientalismo e del femminismo. Fu all’insegna della partecipazione che si ebbe a Firenze, nel 2002, la straordinaria esperienza del Social Forum Europeo. Non dette poi i frutti sperati, ma rimane un episodio di grande valore e bisognerebbe recuperare lo spirito che lo animò e che

Qualcosa è davvero cambiato? L’ambiente, la pandemia e un futuro da costruire, anche a Firenze!

14 Aprile 2020
Il bollettino del SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) segnala a marzo una riduzione generalizzata delle emissioni inquinanti in Italia, particolarmente per gli ossidi di azoto, dovuta ai provvedimenti di riduzione della mobilità legati alla pandemia del Covid19. Anche il particolato PM10 si è ridotto, eccetto un picco del fondo naturale dovuto a polveri arrivate dal Mar Caspio. Le emissioni climalteranti si sono ridotte e scenderanno del 5-7% nel prossimo anno, secondo la stessa fonte, sempre per i provvedimenti di limitazione della mobilità. D’altronde sui quotidiani dicono che in India son tornati a vedere l’Himalaya per gli stessi motivi. Tutto bene allora, malgrado la pandemia? Purtroppo i gas climalteranti fino ad oggi accumulati stanno provocando effetti gravi, non solo sciogliendo i ghiacciai delle nostre Alpi, ma anche quelli della Groenlandia. Secondo notizie di marzo, in due mesi da quell’isola sono scesi a mare 600 miliardi di tonnellate d’acqua, il doppio di quanto si è sciolto nei 17 anni precedenti, portando ad un innalzamento del mare di 2,2 millimetri in due mesi; ed in Antartide abbiamo temperature sopra i 18°C in questa estate, mai prima registrate. Lo scioglimento dei ghiacci sulla terraferma fa aumentare il livello dei mari, di cui cresce anche la temperatura, con conseguente incremento di frequenza e forza di tempeste e venti. Non possiamo aspettare ad intervenire, dobbiamo cambiare il modello di sviluppo e realizzare opere di mitigazione del danno; i cambiamenti climatici non devono trovarci impreparati come accaduto col Covid19. Gli esperti avevano avvisato di possibili pandemie legate a virus polmonari ormai da 10 anni; i rischi dei cambiamenti climatici e gli effettivi mutamenti vengono a illustrati ormai da 20 anni senza che vengano presi in seria considerazione. Il Sindaco Nardella pare convertito sulla via della pandemia ed ora, mancando i soldi del turismo, dice che Firenze non può basarsi solo su di esso, ma anche sulla ricerca ed attività del terziario che potrebbero anche riqualificare il centro città. Per questo promette di usare il bazooka nel piano urbanistico. Ma per fare che cosa? Come si guarda alle mangiatoie del sotto-attraversamento TAV e della tramvia? Si continua a volere un aeroporto, come pare voglia la Regione che ha avviato una nuova procedura di valutazione, anche se questo blocca lo sviluppo del Polo Scientifico dell’Ateneo e quindi della ricerca e dell’istruzione, che sono le basi dell’innovazione. Si continua a pensare al futuro con gli occhi rivolti al passato, pur dicendo in molti che “nulla sarà come prima”. Grandi opere, trasporti, globalizzazione e numeri elevati di turisti, tutto a gran velocità. Sempre più veloci, rapidi. Ma anche i virus che infettano la specie umana viaggeranno sempre più veloci ed ubiquitari. Senza parlare del crescente inquinamento legato al consumo di risorse limitate sul pianeta. Niente sia più come prima! Economia e società devono riconvertirsi ad una visione più lenta e resiliente, più collegata alle effettive risorse dei territori da usare secondo la cosiddetta “economia circolare”. Sia globale l’informazione, lo scambio di esperienze, la conoscenza in tutte le sue forme,

Videoforum: infanzia e adolescenza nel tempo sospeso del coronavirus

12 Aprile 2020
Mercoledì 15 aprile ore 18.00Per seguire il videoforum:Sulla nostra Pagina FacebookCanale YouTubeEvento Facebook Nel dramma dell’emergenza, sono state emanate regole di comportamento stringenti e valide per tutti, finalizzate a contenere il contagio. Però non siamo tutti uguali: per ragazze e ragazzi il contatto sociale, il movimento, l’azione, la vicinanza ai coetanei sono bisogni vitali, di crescita, e non sappiamo quanto l’angoscia per ciò che sta accadendo nel mondo incida sulla loro fiducia nel futuro e sulla capacità di elaborare le paure. Le famiglie non vivono tutte nella stessa situazione. La scuola rappresenta il principale canale attraverso cui si realizzano, sia pure fra mille ostacoli, le pari opportunità di bambini e adolescenti. Ora ciascuno torna, per decreto e per necessità, alla propria famiglia, a spazi quotidiani che possono essere ampi o ristretti, a situazioni relazionali armoniose o difficili, a contesti culturali e materiali diversi. Durante il distanziamento sono emersi il divario digitale, le disuguaglianze economiche e abitative, le differenze territoriali nell’accesso a internet, la diversa preparazione (anche culturale) dei genitori nel sostenere i propri figli adesso che filtri importanti, come la scuola, lo sport, il gruppo dei compagni, sono improvvisamente divenuti più distanti. Insomma, le disuguaglianze riprendono campo e per ciascun ragazzo il periodo di reclusione potrà essere più o meno tollerabile, potrà incidere in modo molto diverso sul suo sviluppo futuro. Le istituzioni devono porre attenzione a questo tema e offrire una risposta differenziata alle esigenze di crescita dei più giovani, perché l’emergenza non diventi il terreno su cui si riproducono e si accentuano le disuguaglianze all’interno delle giovani generazioni. Vogliamo riflettere su questi temi insieme a coloro che più da vicino conoscono la vita degli adolescenti e percepiscono le loro difficoltà, le loro paure, le incertezze che questa situazione porta nella loro immagine del futuro. Invitiamo gli interessati e le interessate a unirsi a noi nella tavola rotonda online che si svolgerà mercoledì 15 alle 18:00, alla presenza di psicologi, insegnanti e genitori. L’evento è finalizzato all’elaborazione di proposte concrete da sottoporre alle Istituzioni Locali. Per intervenire scrivere a: sandra.carpilapi@gmail.com Mercoledì 15 aprile ore 18.00Per seguire il videoforum:Sulla nostra Pagina FacebookCanale YouTubeEvento Facebook Firenze Città Aperta

Didattica a distanza e dintorni

11 Aprile 2020
Dal 4 marzo quel mondo vibrante e complesso fatto di relazioni, di scambi di sapere, di produzione di pensiero, di vita palpitante che è il mondo della Scuola è stato improvvisamente sconvolto. Come insegnante che vive la Scuola come spazio gioioso e vitale di condivisione e come dimensione palpitante di impegno civile, di fronte a questo improvviso spegnimento sono rimasta come attonita. Oggi, a cinque settimane dalla chiusura, proverò ad avviare una riflessione, seppur parziale, su ciò che sta accadendo alla Scuola in questo particolare frangente. La prima considerazione che mi viene da fare è che tutta la discussione intorno alla Scuola in questo momento verte esclusivamente sulla didattica a distanza ed in particolare sulla scarsa preparazione tecnologica del Paese (sia delle scuole sia delle famiglie) per far fronte al nuovo scenario. La sinistra ha subito messo in luce quanto la didattica a distanza accentui le differenze sociali mettendo in difficoltà in primo luogo bambini/e e ragazzi/e che provengono da contesti svantaggiati. Questo è senz’altro vero, sebbene, volendo essere precisi, quello che incide maggiormente in questo quadro non è tanto il divario economico ma quello culturale che, come sappiamo, non sempre vanno necessariamente di pari passo. Le famiglie di insegnanti, per esempio, per ovvi motivi, sono certamente quelle che in questa situazione meglio hanno saputo riorganizzare e seguire il percorso di apprendimento dei loro figli e figlie. Ma quello che mi preme di più osservare tocca un altro piano che è stato finora quasi completamente trascurato dal dibattito. Da oltre un mese il mondo della Scuola si è buttato a capofitto in piattaforme mirabolanti e acrobazie digitali di ogni sorta. Insegnanti di tutto il Paese si sono lanciati in uno spasmodico tentativo di ricreare una scuola virtuale che impone di lavorare molto di più per ottenere risultati assai più scarsi. Molti hanno celebrato tutto ciò come un’occasione straordinaria di innovazione per la Scuola e di svecchiamento epocale della didattica, altri hanno rilevato le falle del sistema imputandole all’inadeguatezza dei mezzi e delle competenze tecnologiche. Il problema che vorrei porre, però, riguarda i possibili risvolti di questa frenetica corsa digitale che non sta lasciando spazio e tempo ad una riflessione più profonda su quello che stiamo veramente facendo. La mia perplessità come insegnante ha a che vedere con quella che mi pare la perdita di una prospettiva educativa a lungo termine, ci stiamo preoccupando del qui ed ora, di come portare avanti il programma, di come mettere le valutazioni, di come sostenere gli esami di giugno ma ci sta pericolosamente sfuggendo di vista la dimensione culturale-educativa più ampia. Per tradurre in termini più concreti, mi limito a osservare che negli ultimi anni sono state investite molte risorse e coinvolti molti operatori di vari settori (polizia postale, psicologi, pedagogisti) per sensibilizzare genitori e studenti sui rischi delle nuove tecnologiche e delle dipendenze ad esse connesse; nelle nostre aule abbiamo dedicato ampio spazio alla riflessione intorno a ciò che significa vivere le relazioni filtrate da uno schermo; fra adulti ci siamo interrogati spesso,

Infanzia e adolescenza nel tempo sospeso del coronavirus

11 Aprile 2020
La lettera con cui un gruppo di genitori ha chiesto al sindaco di Firenze almeno una mezz’ora d’aria per i propri figli è un segnale della difficoltà che le famiglie attraversano nella reclusione forzata, ma anche un richiamo a pensare in modo più organico ed efficace ai bisogni dei bambini e delle bambine, e degli/delle adolescenti. Nel dramma dell’emergenza, sono state emanate regole di comportamento stringenti e valide per tutti, finalizzate a contenere il contagio. Però non siamo tutti uguali: per bambini e ragazzi fare e stare nel mondo è un bisogno vitale, di crescita; è come il pane. Per quanto con difficoltà, noi adulti abbiamo gli strumenti per superare la distanza che ci separa dagli altri: la memoria, la parola, la capacità di mantenere vivo un mondo interno. Per bambini e adolescenti è molto più difficile. Senza contare che non sappiamo quanto l’angoscia per ciò che sta accadendo nel mondo incida sulla loro fiducia e sulla capacità di elaborare le paure. A un mese dall’inizio del distanziamento sociale, la possibilità per i/le bambini/e di uscire per una breve passeggiata potrebbe rappresentare l’occasione per sentire che il mondo è ancora lì, li aspetta (anche se a vederlo ora non sembra proprio il mondo di prima). Occorre anche considerare che le famiglie non vivono tutte nella stessa situazione. La scuola rappresenta il principale canale attraverso cui si realizzano, sia pure fra mille ostacoli, le pari opportunità di bambini e adolescenti. Ora ciascuno torna, per decreto e per necessità, alla propria famiglia, a spazi quotidiani che possono essere ampi o ristretti, a situazioni relazionali armoniose o difficili, a contesti culturali e materiali diversi. La stessa esperienza della didattica online ha disvelato le grandi differenze fra famiglie e contesti diversi. Secondo l’Istat il 33,8% delle famiglie italiane non ha un computer o un tablet (41% al Sud) e il 47,2% ne ha uno da dividere tra genitori e figli. Questo divario digitale spesso è radicato nelle disuguaglianze economiche e nelle differenze geografiche per quanto riguarda l’accesso a Internet. Esiste poi un divario culturale e, come sappiamo, tipi diversi di disuguaglianza non vanno necessariamente di pari passo. Per ovvi motivi, le famiglie di insegnanti sono certamente quelle che in questa situazione meglio hanno saputo riorganizzare e seguire il percorso di apprendimento dei loro figli e figlie. Inoltre, come molti genitori hanno notato, non tutte le famiglie sono pronte e attrezzate per interagire coi bambini e gli adolescenti h24 adesso che filtri importanti – la scuola, lo sport, i nonni, per citarne alcuni – sono improvvisamente divenuti più distanti. Infine, c’è un fattore che pesa enormemente sulla vita di migliaia di bambini e bambine e che riguarda il tema della sperequazione abitativa. Il divario di censo incide senz’altro sulla possibilità di accesso agli strumenti dell’informatica e quindi alla didattica a distanza – che è comunque inadeguata e poco efficace per tutte/i – ma più ancora incide sull’accesso allo spazio e alla luce. Molte famiglie, infatti, vivono in contesti abitativi troppo ristretti, o sovraffollati, o comunque

L’aria e la luce sono solo per i figli dei ricchi?

10 Aprile 2020
In questo momento più che mai, a mio parere, c’è un fattore che pesa enormemente sulla vita di migliaia di bambini e bambine in particolare e che riguarda il tema della sperequazione abitativa. Il divario di censo, come molti hanno recentemente rilevato, incide senz’altro sulla possibilità di accesso agli strumenti dell’informatica e quindi alla didattica a distanza – che è comunque necessariamente inadeguata e poco efficace per tutte/i – ma mi sento di dire che più ancora incide sull’accesso allo spazio. Ogni giorno, da un mese a questa parte, nell’ora più quieta del pranzo, mi avvio come una fuggiasca con mia figlia seienne per le strade meno battute che da dietro casa si inerpicano per le colline. Ci fermiamo a giocare per un quarto d’ora in uno spiazzo di pietra davanti ad una piccola chiesa finché un passante con il cane non si avvicina sussurrandomi “Signora, faccia attenzione, stanno facendo i controlli”. Rientro con il cuore pesante, faccio fatica a spiegare a mia figlia – che da sempre ho educato alla libertà – che possiamo restare fuori casa solo per un breve tempo, giocare poco e senza attirare l’attenzione e cercando, nel contempo, di eludere la sorveglianza delle forze dell’ordine. E lei non riesce a capacitarsi del perché mai i poliziotti ci dovrebbero fermare per quello che stiamo facendo. Tuttavia mi ritengo fortunata perché posso comunque offrire alla mia bambina questi limitati momenti all’aperto, al sole, alla luce, e posso farlo perché abitiamo in un quartiere che ci permette di raggiungere facilmente luoghi più solitari e piacevoli, perché posso permettermi il rischio di incorrere in eventuali sanzioni e perché posso spiegare a mia figlia perché stiamo trasgredendo la legge. Allo stesso tempo, mentre passeggiamo per le vie appartate che costeggiano quel susseguirsi di ville che punteggiano le nostre colline, sento da dietro gli alti muri in pietra, le voci e le risate di bambini che giocano spensierati fra gli uliveti e nei soleggiati parchi delle loro abitazioni. Penso allora a quelle molte famiglie che vivono in contesti abitativi ristretti, o sovraffollati, o comunque inadeguati (tanto per limitarci a evidenziare le carenze strutturali tralasciando le possibili ricadute di tali condizioni all’interno di un nucleo familiare). Penso a quelle migliaia di bambini e bambine che da settimane sono compressi in spazi angusti, in seminterrati, in abitazioni scarsamente areate e illuminate, in quartieri inospitali, per i quali la privazione dello spazio aperto diventa una condanna. Mi pare che in questo particolare momento critico che stiamo vivendo, questo aspetto evidenzi – se mai ce ne fosse bisogno – la stridente assenza di pari opportunità persino nell’accesso ai beni più primari quali lo spazio, l’aria, la luce. Daria De Picchis #VisioniPerCambiare

Il lavoro prima, durante e dopo il COVID19

9 Aprile 2020
Profitto vs salute, produzione vs sicurezza, capitale vs lavoro Segnaliamo, per venerdì 10 aprile alle 18:00, la diretta YouTube del “Cpa Firenze Sud” con la partecipazione del nostro socio, già presidente della associazione ed avvocato del lavoro, Danilo Conte. Evento Facebook Canale YouTube per la diretta Sito internet CPA Firenze Sud

Lettera di LIBERE TUTTE al presidente della Regione Toscana Enrico Rossi

7 Aprile 2020
Firenze Città Aperta sostiene con determinazione la proposta di Libere Tutte: in tempo di Coronavirus, la libertà di scelta delle donne deve essere tutelata e garantita. Mentre apprendiamo con sgomento che un’associazione cattolica fondamentalista vorrebbe approfittare dell’emergenza per sospendere le interruzioni volontarie di gravidanza, sottoscriviamo ogni parola della LETTERA che Libere Tutte ha indirizzato al Presidente della Regione Enrico Rossi. Qui il testo integrale: Egregio Presidente della Regione Toscana dottor Enrico Rossi, Quella che stiamo attraversando è un’emergenza pandemica mondiale che ha come principale strumento per contrastarla quello di evitare contatti con le altre persone e limitare l’accesso agli ospedali. Ospedali in sofferenza e personale sanitario allo stremo e che sta pagando un alto tributo anche in termini di vite umane. L’emergenza ricade in misura superiore sulle donne, perché la cura della casa, la spesa, le pulizie, la gestione dei figli gravano pesantemente su loro. Inoltre i dati nazionali riferiscono un calo nelle segnalazioni di violenze domestiche dovuto alla difficoltà delle denunce da parte delle donne, spesso chiuse in casa con i propri persecutori. Da qui la campagna “mascherina 1522”. Per quanto riguarda, inoltre, la questione dell’IVG nessuna misura, a oggi, è stata presa per affrontare l’emergenza. Con l’aumento dei contagi sono state via via sospese tutte le prestazioni differibili e non urgenti. Tra le prestazioni non differibili, ovviamente, rientrano le interruzioni volontarie di gravidanza. Questo servizio, già in sofferenza a causa dell’aumento continuo dell’obiezione di coscienza (per cui sono nate reti regionali come in Toscana il “Coordinamento 194” e a livello nazionale “Pro-choise”), è ancora più a rischio a causa della pandemia. Occorre tener presente che potrebbero crearsi condizioni tali da veder superati i limiti temporali stabiliti dalla legge con il risultato concreto di non potersi più avvalere del diritto di interrompere la gravidanza e il ritorno all’aborto clandestino con tutti i pericoli che ciò comporterebbe per la salute della donna. Per tali ragioni, in questo periodo di emergenza sanitaria, si chiede di potenziare l’aborto farmacologico e di effettuarlo negli ambulatori e consultori (in Toscana la percentuale è ancora molto bassa rispetto a molti paesi europei), snellire il percorso attuale e praticarlo anche negli ambulatori e nei consultori. L’aborto farmacologico, effettuato nelle strutture sanitarie territoriali oltreché consentire l’accesso alle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica e meno rischiose per la salute delle donne (v. art 8 legge 194/78), comporterebbe anche un notevole risparmio economico rispetto a quello chirurgico. È necessario aumentare il periodo in cui si può effettuare l’aborto farmacologico portandolo, come previsto dall’Agenzia Europea del Farmaco, a 63 giorni di amenorrea. Per le ragioni che abbiamo espresso, si chiede di poter procedere simultaneamente alla consegna del primo farmaco (Mifepristone) e alla prescrizione medica del secondo farmaco (Prostaglandine) con un unico passaggio nell’ambulatorio ospedaliero o in consultorio. Per questo Le chiediamo di adottare, nell’immediato, misure provvisorie urgenti volte a garantire l’accesso alla interruzione volontaria di gravidanza, privilegiando la procedura farmacologia che permetterebbe, se condotta in conformità con le linee guida delle società scientifiche internazionali, di limitare

Domenica delle palme ai tempi del Covid-19

6 Aprile 2020
Il 5 Aprile 2020, sarebbe stata una domenica molto importante per me e per tanti cristiani come me. La messa non solo prevede i passi del Vangelo che si riferiscono all’ingresso di Gesù, osannato, a Gerusalemme (palme poi sostituite da rami di olivo) ma soprattutto prevede il Passio, letto a più voci, dalla preghiera di Cristo al tradimento di Giuda, all’arresto di Gesù, alla inettitudine colpevole di Pilato, alla fragilità di Pietro, alla crocefissione. Ho sempre amato questa celebrazione perché mi entra dentro e mi fa interrogare su molti quesiti. Il papa non ha celebrato in una San Pietro piena di fedeli, come negli anni passati, e l’ho visto provato, sofferente, instabile sulle gambe ma commosso ha celebrato in maniera perfetta con una omelia che ha abbracciato tutti noi, parlando di ogni categoria, dai più umili a quanti si occupano degli altri in questa terribile emergenza. Dopo aver assistito alla messa non mi sono sentita colma, non ho provato gioia anzi le mie domande sono aumentate e mi hanno distrutto. Questa è stata una domenica terribile per me, non perché sono stata in casa come al solito in questi 27 giorni ma perché mi sono messa a pensare a tutti quelli che soffrono. Ho pensato agli anziani soli e forse malati, ho pensato ai detenuti, chiusi con il dramma di essere infettati dal virus, ho pensato alle famiglie chiuse in casa con un disabile, ho pensato alla nostra superficialità ed egoismo. Siamo una società malata ma forse non siamo nemmeno una società. Ci siamo rallegrati e fatti forza cantando dai balconi come se quello che stavamo vivendo fosse solo un sogno e che ci saremmo risvegliati molto presto. E, invece, i giorni aumentano anche grazie a degli scriteriati, direi delinquenti, non rispettano le norme certamente restrittive ma necessarie. Noi, democrazia occidentale, privati della nostra libertà? Sembra che non abbiamo realmente compreso che assistiamo a qualcosa di terribile, di un virus che non perdona, che non abbiamo medicine, che il vaccino non sarà pronto in breve tempo. E intanto tutto crolla, tutto il nostro essere fittizio non ci protegge più. E davanti agli occhi le centinaia di bare in attesa di una sepoltura… La cura, il rispetto dei morti, rappresenta l’inizio della civiltà più ancora della scrittura. È il più alto valore etico e ora sembra non esserci più. I moribondi vedranno solo infermieri e dottori e se ne andranno così, non potranno dire niente ai loro cari, non avranno una parola di conforto dai loro affetti. Non c’è spazio per la pietas, non c’è nemmeno spazio per voler lottare per categorie abbandonate. Penso ai senza tetto, penso a chi ha fame ma si vergogna di chiedere. Si dice che questa pandemia ci farà rinascere proprio perché abbiamo sofferto tutti, dato che non sapevamo affrontare il dolore, ma dubito molto che questa rinascita morale, etica avverrà fino a quando si continuerà a perseguire i propri interessi, fino a quando si godrà di privilegi, se si continuerà a vedere solo ciò che

Il vecchio e la bambina

5 Aprile 2020
Le strade sono ormai quasi deserte a Firenze. Silenzio, movimenti lenti, una pulizia nuova dell’aria, una meraviglia – e però anche un’angoscia di fondo che entra nell’anima. Come la sensazione limpida dell’assenza. Del lutto. Tante persone scomparse. E scomparse in solitudine, senza nome, indicate con l’età e le malattie pregresse, ridotte a curva statistica. Malati ignoti. Nessuno che può fargli visita, dare un bacio o tenere la mano. Neppure l’abbracciarsi dei propri cari, dopo: un rito in cui essere ricordati, che dia una specie di misura della vita vissuto. Se pensi che è stata bella, pensi che abbia lasciato del calore nel mondo. Io esco di casa per andare a fare il baby sitter. Nipotina di un anno e mezzo, genitori che lavorano, unico nonno disponibile. E stare con una bambina piccola è come una rinascita. Una ventilazione di vita, come ricominciare da capo a vedere il mondo. Anche un po’ inventarlo, perché ogni giocattolo e ogni oggetto è provato in tutte le sue possibili combinazioni. Nessuna istruzione per l’uso è accettata. Tutto prova a contenere tutto, ogni forma tenta di combinarsi con un’altra. Da un lato si imita dall’altro si reinventa. I giocattoli più raffinati si esaltano nell’essere rivoltati, aperti, tolti e rimessi nella scatola. È come l’allegria universale dei cuccioli. La festa dell’esserci, fra le persone e le cose – nell’aria, nel sole e nel vento. Un potente antidepressivo sono anche i miei ex studenti, pure chiusi in casa, che seguo ancora nei loro gruppi Whatsapp o su Instagram. Mi sembrano mille volte più sensibili e densi di vita degli adulti. E di fronte a un mondo mille volte peggiore di quello che avevamo davanti noi. Allora tutto sembrava possibile, tutto nelle nostre mani. Per loro è già molto immaginarsi uno spazio ravvicinato, intimo, in cui non essere travolti. Eppure i loro occhi a me parlano sempre di desiderio ed energia. Di apertura al mondo. Sono “sdraiati” solo per il narcisismo degli adulti. Organizzano con gli insegnanti delle video-lezioni, che spero un po’ funzionino. Comunque la scuola megamacchina di programmi e voti non credo subirà chissà quali problemi. Si adatterà. L’esperienza personale delle ragazze e dei ragazzi porterà invece dei segni non facili da immaginare. E tuttavia nelle chat la conversazione spesso molla gli insegnanti e si sposta fra loro, diventa gioco – quello abituale, antico: battute, scherzi, prendersi in giro. La scuola è sempre stata anche questo tessuto leggero interpersonale, una rete orizzontale di comunicazione. Non si insegna e non si impara nulla senza una dimensione informale, di relazioni vive dove sei presente non solo con la tua testa da riempire, ma con il tuo corpo, il tuo sguardo, la tua anima. Il corpo ora è un’assenza, però credo li abbiano ben presenti i loro corpi quando premono la tastiera. Adesso quegli sguardi non so come si muovano per la casa. E chissà come lo vedono il mondo fuori, lo spazio desertificato, il tempo sospeso. Penso che se un futuro potrà esserci, dovrà essere molto diverso. Più

La quarantena di chi una casa non ce l’ha

4 Aprile 2020
L’indicazione di stare a casa, che viene ripetuta continuamente per contrastare il contagio da Coronavirus, va indubbiamente seguita. Ma occorre, nel contempo, riflettere su come suoni beffarda per chi la casa non ce l’ha o abita in situazioni di grande precarietà o di sovraffollamento. E trarne le dovute conseguenze, e cioè l’esigenza di interventi sociali indispensabili e urgenti, l’impegno a mobilitarsi in tal senso e a sollecitare le istituzioni affinché li facciano, la presa di coscienza che da una crisi come quella attuale o se ne esce veramente tutti/e insieme o si avrà una ferita gravissima al senso comune di umanità, una ferita difficilmente rimarginabile. Si tratta di intervenire immediatamente:– per diminuire le presenze in carcere,– per distribuire, senza tener conto di eventuali condizioni di irregolarità (per cui occorre anche chiedere con forza, una sanatoria generale) i/le migranti, i/le richiedenti asilo, i profughi e le profughe stipati in strutture di accoglienza e di contenimento,– per abrogare le norme che impediscono di erogare acqua e luce agli immobili occupati (fra l’altro, come fanno gli/le occupanti a lavarsi spesso le mani, seguendo le prescrizioni anti-contagio?),– per far sì che i campi Rom abbiano a disposizione cibo e acqua (e non ci si limiti ad un controllo poliziesco, perché nessuno possa uscirne),– perché ci si faccia carico dei senza dimora trovando una collocazione che eviti loro di contagiarsi e di contagiare. È evidente che occorre in proposito un piano straordinario a livello comunale, che metta insieme tutte le risorse e le energie disponibili, mettendo in campo il patrimonio immobiliare pubblico non utilizzato e lo strumento delle requisizioni (vedi le proposte di “Firenze città aperta”), al fine di avere strutture disponibili per coloro che devono essere messi in quarantena, per la redistribuzione delle persone in condizioni di sovraffollamento, per dare un’abitazione provvisoria a chi ne è privo. Solo così si possono mettere le basi per una fuoruscita dall’emergenza che non sia riservata soltanto a coloro che sono “garantiti” e dia piena attuazione a quei principi di umanità e di solidarietà che dovrebbero essere la bussola della nostra azione (e non soltanto nei momenti di crisi). Moreno Biagioni #CronacheDalFuturo

Breve cronaca giudiziaria in tempi di epidemia (a lieto fine)

2 Aprile 2020
C’è un Giudice a Firenze… Breve cronaca giudiziaria in tempi di epidemia (a lieto fine) C’è un’azienda “leader nel settore della consegna a domicilio di pranzi e cene” che vanta partnership con i migliori ristoranti e che assicura di portarti a casa tutto quello che desideri, dalle tagliatelle della nonna alle prelibatezze di uno chef stellato. Un’azienda che vanta “milioni di clienti” in tutto il mondo e sedi in ogni parte del pianeta e forse anche oltre. C’è poi un rider per il quale l’emergenza è come se non ci fosse, pedala come prima, lavora come prima, stessi turni massacranti, stessa fatica, stessa miseria di paga. Anzi lavora forse di più, ché tutti vogliono stare al sicuro a casa con marito/moglie e figli, evitando magari anche di fare la spesa, tanto c’è il rider che mi porta a casa da mangiare. Il rider, venuto da chissà quale parte delle Terra, si sogna di fare una richiesta impensabile, lasciando tutti sbalorditi: ma i dispositivi di sicurezza?! Possibile che non ci diano almeno dei guanti, una mascherina, un disinfettante per i contenitori? Insomma è matto. In questi tempi di emergenza va ad impuntarsi su questi cavilli. Ha voglia di lavorare o no? Ma la Madreterra che l’ha portato sino a Firenze per chissà quali percorsi deve avergli insegnato in qualche momento della sua vita che la vita è dignità e quindi che anche il lavoro è dignità. Che vuol dire anzitutto rispetto per sé stessi. E allora il rider si impunta a fa una cosa davvero folle. Si rivolge al Tribunale del lavoro di Firenze, in un periodo in cui, per di più, i Tribunali sono chiusi e le udienze sospese. Il Tribunale del lavoro di Firenze, ritiene che la questione debba essere affrontata nonostante la chiusura delle aule di giustizia poiché ha ad oggetto “la tutela di diritti fondamentali della persona”, visto il “rischio di un possibile contagio”, ritiene che le norme sulla sicurezza sul lavoro si applichino anche ai riders e senza neanche convocare l’azienda in pochi giorni le “ordina” di consegnare immediatamente i dispositivi di sicurezza indispensabili per proteggere la salute del lavoratore. Il piccolo rider ha vinto molto di più che una mascherina ed un paio di guanti. Perché ci ha dato coraggio in un tempo buio, ricordandoci che la strada dei diritti non deve conoscere ostacoli, non deve fermarsi neppure davanti ad una multinazionale, neppure davanti all’imperatore. Anche in questa notte, bisogna crederci. #CronacheDalFuturo

Requisire per meglio curare

31 Marzo 2020
A Firenze 1.000 posti letto per la quarantena di contagiati, sorvegliati e persone a rischio? SI PUÒ FARE!Costa meno in termini di vite perse e di denaro speso. Scarica il testo integrale della proposta in PDFScarica il volantino In queste ore l’attenzione di tutte le istituzioni è giustamente centrata sull’emergenza sanitaria, per tamponare agli effetti di un decennio di tagli del SISTEMA SANITARIO NAZIONALE che ci ha fatto trovare impreparati. E questa impreparazione è ancora più evidente per quanto riguarda la produzione dei DISPOSITIVI DI SICUREZZA.I teorici della spending review in campo sanitario che hanno tagliato e ridotto le capacità del pubblico affidandosi progressivamente al privato per subentrare e poter teoricamente sopperire alle mancanze dello Stato, cosa direbbero oggi? È ormai sotto gli occhi di tutti e tutte che se riuscissimo a calcolare i costi sociali, economici e umani che sosteniamo e dovremo sostenere nei prossimi mesi per l’emergenza Covid19 questi sarebbero di molto superiori rispetto al ‘risparmio’ ottenuto dai tagli alla Sanità in Italia. Siamo di fronte ad un’azione profonda e necessaria da condurre ad ogni livello. I comuni, ed in particolare gli enti di medie dimensioni e quelli che, come il Comune di Firenze, non vi hanno provveduto ancora, visto l’esplosione dell’emergenza, possono fare molto per prepararsi al periodo di gestione della quarantena ed evitare che la pandemia si sviluppi oltre. Questo lo si deve fare anche prevedendo di poter aiutare gli altri territori più in difficoltà. Ne usciremo quanto prima riusciremo a comprendere che non esistono più confini a proteggerci. La gestione della quarantena e dell’allontanamento da situazioni di rischio è e sarà fondamentale, sia per le persone contagiate che per i familiari che sono le prime persone esposte da non obbligare alla convivenza forzata che può diventare causa di ulteriore contagio. A questo proposito abbiamo trovato di particolare interesse l’articolo pubblicato dal Presidente dell’accademia dei Lincei Giorgio Parisi. Ad oggi il Comune di Firenze, tramite una convenzione della Regione con gli alberghi, ha comunicato di avere reperito alcune centinaia di camere, al prezzo giornaliero tra €30,90 i €38 oltre al costo dei servizi necessari. È una misura utile, non c’è dubbio, ma che sarebbe stata adeguata ad una situazione ordinaria. In questa fase NON BASTANO le misure ordinarie.  Siamo in una situazione di emergenza dove ogni euro deve esser speso ottenendo il massimo beneficio, tramite l’utilizzo di ogni strumento messo a disposizione dalla normativa emergenziale, comprese appunto le requisizioni. #NIENTESARAPIUCOMEPRIMA Tante e tanti fiorentini, nel silenzio, hanno messo a disposizione di medici, infermieri e personale sanitario, i propri alloggi vuoti, di norma locati a turisti, anche gratuitamente, avendo scelto di sostenere così chi sta salvando le vite. CHIEDIAMO che la stessa cosa sia fatta dalle grandi proprietà che gestiscono enormi patrimoni immobiliari (banche, curia, assicurazioni). Certo c’è bisogno di attenzione e studio. Non ogni immobile va bene, non qualunque spazio può essere utile ad ogni tipo di situazione e persona da accogliere. Ovvero se per le famiglie che hanno necessità di spostarsi dall’abitazione per stare lontano dal familiare
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Oltre 300 firme per la salute di tutti e la pace

29 Marzo 2020
L’appello lanciato dall’associazione politica Firenze Città Aperta già ha raccolto più di 300 firme. S’intitola Emergenza Coronavirus: Firenze città operatrice di pace per il blocco delle produzioni militari ed è indirizzato al Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, al Sindaco di Firenze Dario Nardella e alla Prefetta di Firenze Laura Lega. La richiesta: le Istituzioni Locali e la Regione si adoperino perché la produzione di armi venga immediatamente esclusa dalle produzioni ritenute essenziali e, conseguentemente, si consenta ai lavoratori impegnati in questo settore di stare a casa. Nell’emergenza che stiamo attraversando, di fronte alle vistose falle del nostro sistema sanitario, di fronte a un’area sempre più vasta di cittadine e cittadini in gravi difficoltà economiche, di fronte alla necessaria chiusura di molte attività produttive e commerciali, le industrie di armi continuano indisturbate a costruire strumenti di distruzione. È il momento di dire basta, di fermare la produzione bellica, di riequilibrare il sistema di priorità del nostro paese, mettendo al primo posto la difesa e la promozione della salute di tutte e di tutti, la difesa dei diritti del lavoro, una reale redistribuzione delle ricchezze. Per questi motivi l’associazione Firenze Città Aperta ha lanciato l’appello Emergenza Coronavirus: Firenze città operatrice di pace per il blocco delle produzioni militari, che si pone come punto di partenza per chiedere al Governo italiano, da ora e nei prossimi mesi, di fermare la produzione e il commercio di armi, di ridurre drasticamente le inutili spese militari destinando tali fondi a settori ben più vitali del bilancio statale, di progettare una riconversione dell’industria bellica verso produzioni socialmente utili. La petizione è stata pubblicata su Change.org e ha rapidamente ottenuto la positiva accoglienza di centinaia di firmatari indignati. Di seguito il testo integrale dell’appello: Emergenza Coronavirus: Firenze città operatrice di pace per il blocco delle produzioni militari. Chiudiamo lo stabilimento degli F-35 e tutti gli impianti delle produzioni militari! Riteniamo che la produzione di armi – già da impedire o, quanto meno, limitare, in tempi normali – sia assolutamente da bloccare oggi a causa del Coronavirus e che vada tolta immediatamente dalle produzioni ritenute essenziali. Come sostiene la campagna lanciata da Sbilanciamoci, Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo, a cui aderiamo, le fabbriche vanno immediatamente chiuse e va chiuso, fra gli altri, lo stabilimento di Cameri (Novara), che produce e assembla i caccia F-35, gli aerei da guerra di cui andrebbero definitivamente impediti sia la produzione, sia l’acquisto. Lo stabilimento di Noveri è ancora aperto nonostante due lavoratori siano già stati riscontrati positivi al Coronavirus. Anche le aziende militari dell’area fiorentina, a partire dalla Leonardo (ex Galileo), devono chiudere immediatamente e per questo chiediamo l’intervento della Prefetta di Firenze. Pensiamo anche che il blocco da noi richiesto debba essere anche uno stimolo per considerare seriamente la riconversione delle fabbriche che producono armi e sistemi d’arma. Chiediamo alla Regione Toscana e alle Istituzioni Locali di intervenire in appoggio a questo nostro appello e di adoperarsi perché l’emergenza attuale sia finalmente l’occasione per l’applicazione dell’Articolo 11

Resistere all’emergenza: il lavoro nei provvedimenti del governo in materia di Coronavirus

24 Marzo 2020
Care e cari Vi invitiamo a partecipare martedì 24 Marzo alle 18:30 al seguente video-incontro “Resistere all’emergenza: il lavoro nei provvedimenti del governo in materia di Coronavirus“ conavv. Danilo Conte, giuslavoristaprof. Giovanni Orlandini, Università di Sienadel “Centro Studi Diritti e lavoro flash“ Testo in PDF del DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18. PER PARTECIPAREDato che i numeri sono limitati dalla piattaforma, chiediamo di inviare una conferma di partecipazione a: firenzecittaaperta@gmail.com Altrimenti, se sono rimasti posti disponibili, puoi collegarti all’ora precisa a questo link. Se richiesto Numero riunione (codice di accesso): 146 138 810Password riunione: nUKnnMuq372 Da PC o smartphone di sarà richiesto di installare un programma o app per eseguire un’applicativo. È assolutamente normale e si tratta di servizi sicuri; se utilizzate smartphone consigliamo l’uso di internet tramite wireless dato che si utilizza una quantità di banda rilevante.Si consiglia l’uso di cuffie. Firenze Città Aperta Foto di rottonara da Pixabay